Nascita e cammino

Nascita e cammino del Casco bianco

Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito all'insorgere di numerosi conflitti rimasti latenti fino al 1989, frenati probabilmente dalla guerra fredda. Combattuti sempre meno su fronti e da eserciti tradizionali, questi conflitti tendono a coinvolgere la popolazione civile rendendo urgente il bisogno di interventi umanitari dall'estero. Durante la guerra in ex Yugoslavia nel 1991, molte persone si interrogarono su come la società civile poteva rispondere costruttivamente al conflitto. All'interno di questo dibattito alcuni obiettori di coscienza decisero di recarsi in Bosnia e Croazia disobbedendo ai divieti all'espatrio imposti dagli obblighi di leva. Nel dicembre del 1992 viene negato agli obiettori dal Ministero della Difesa il permesso di partecipare ad una marcia di pace (Marcia dei 500) a Sarajevo. Ciononostante, tre di loro, compiendo un atto di disobbedienza civile, vi si recano. Questo genere di atti si ripeterà più volte nel corso del 1993 quando, complessivamente circa un centinaio di obiettori arriverà nella ex- Yugoslavia, la metà dei quali in disobbedienza civile.

Potremmo dire proprio con queste esperienze nasce la figura di "Casco Bianco", così come intesa oggi dalle associazioni che fanno parte della "Rete Caschi Bianchi" (Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Focsiv, Caritas italiana, Focsiv, Gavci,) e che concretamente gestiscono dei progetti di servizio civile per l'impiego di volontari all'estero in aree di conflitto, non solo armato, di povertà strutturale, di disagio sociale. Dal 1993 molta acqua è passata sotto i ponti, e dobbiamo arrivare al 1998 per ottenere finalmente un riconoscimento legislativo della possibilità di svolgere il proprio servizio civile all'estero.

Ma cosa intendiamo oggi per Caschi Bianchi? Darne una definizione non è facile, sia per le confusioni terminologiche e le differenti accezioni e contesti in cui il termine è stato utilizzato, sia proprio per le difficoltà di stabilire con precisione i contenuti e il mandato di questa figura, che d'altra parte è tuttora dinamica e in continua evoluzione. Dunque, per essere il più chiari possibile è necessario, partendo dalla ricostruzione "storica", precisare il quadro legislativo a fondamento della figura. I Caschi Bianchi sono Obiettori di Coscienza e Volontari/e in Servizio Civile che svolgono il loro servizio all'estero in missioni di promozione della pace, dei diritti umani, dello sviluppo e della cooperazione fra i popoli all'interno di un progetto elaborato congiuntamente dalle organizzazioni della Rete Caschi Bianchi. La possibilità di adesione a questi progetti è stata sancita dall'art. 9 della legge 230/1998 "Nuove norme in materia di Obiezione di Coscienza", che ha riconosciuto agli Obiettori di Coscienza l'opportunità di operare all'estero, e che ha esteso questa facoltà ai Volontari in Servizio Civile con l'art. 9 della legge n. 64 del 2001. Tali norme riconoscono come ambiti operativi le "strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione Europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità".

Dal 2002 il progetto è aperto anche alle ragazze in servizio civile volontario, come pure ai giovani riformati dal servizio militare, in età compresa fra i 18 ed i 26 anni, che accedono ai progetti tramite appositi bandi. A partire dal 1998, anno in cui la giurisprudenza si è pronunciata a favore dell'Obiezione di Coscienza all'estero, i Caschi Bianchi hanno iniziato ad operare in contesti caratterizzati da: a) situazioni di violenza strutturale in cui le condizioni socio-economiche disagiate, la povertà e la violazione dei principali diritti politici o di cittadinanza impongono un lavoro di sensibilizzazione, di confronto fra esperienze o condizioni diverse, di interventi o di servizi finalizzati a ridurre o eliminare le cause di disagio; b) situazioni di violenza diretta (innescate a volte in situazioni di violenza strutturale) in cui il lavoro prevede l'azzeramento o almeno la riduzione dei livelli di violenza attraverso il ripristino delle condizioni minime di dialogo e di fiducia fra le parti in conflitto.

Le funzioni dei Caschi Bianchi in questo caso sono mirate alla creazione di condizioni favorevoli al negoziato e alla partecipazione intesa come elemento di moderazione e di mediazione. Dopo un articolato percorso di formazione i Caschi Bianchi svolgono larga parte del loro servizio civile (almeno 8 mesi) all'estero, sviluppando attività di mediazione, aiuto umanitario, accoglienza, educazione, animazione, promozione dello sviluppo umano, promozione della pace, promozione ed osservazione dei diritti umani, attività di analisi e relazione sulla situazione e sulle attività. Nel Febbraio del 2004 è stato istituito, con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, (DPCM 18/02/2004) il Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta. Tale Comitato è contemplato nella legge 230 che nel 1998 riformò il servizio civile degli obiettori di coscienza togliendone la gestione al Ministero della Difesa e assegnandola alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, presso la quale fu istituito un apposito ufficio, l'Ufficio nazionale per il Servizio Civile, con il compito di gestione di tutto ciò che riguardava gli obiettori di coscienza. L'articolo 8, comma 2, lettera E della legge attribuisce infatti all'UNSC di "predisporre, d'intesa con il Dipartimento per il coordinamento della protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta". Tale Comitato, stabilisce il DPCM "ha il compito di elaborare analisi, predisporre rapporti, promuovere iniziative di confronto e ricerca al fine di individuare indirizzi e strategie di cui l'Ufficio nazionale per il servizio civile possa tenere conto nella predisposizione di forme di ricerca e sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta". Il Comitato è composto da quindici membri: due rappresentanti del Ministero della Difesa, uno dell'Interno, della Protezione civile, dell'UNSC, dell'Anci e da esponenti dell'associazionismo e docenti universitari.

Finalmente il problema della difesa e delle missioni di pacificazione all'estero non resta materia esclusiva dei militari ma anche la società civile oggi può occuparsene e creare forme di difesa alternativa a quella degli eserciti, riconosciute dallo stato italiano. Ad aprire le porte a questa nuova realtà della difesa nonviolenta fu proprio il servizio civile degli obiettori di coscienza con l'ottenimento della sentenza della Corte Costituzionale del 24 maggio 1985 n. 164, definita dagli stessi militari "una vera e propria tragedia per le forze armate italiane". La Corte era stata chiamata a stabilire se la legge che concedeva agli obiettori di coscienza di prestare un servizio civile sostitutivo fosse in contrasto con il "sacro dovere di difesa della patria" sancito dall'articolo 52 della Costituzione repubblicana. La Corte respinse la tesi di incostituzionalità, e riconobbe di fatto il servizio civile quale forma di difesa non armata, diversa per natura da quella militare, ma di pari dignità e non in contrasto con il dettato costituzionale.

Con la creazione del comitato per la difesa civile, è come se le Istituzioni lanciassero una vera e propria sfida ai nonviolenti italiani: sarete ora in grado di dimostrare l'efficacia della nonviolenza nella risoluzione dei conflitti nazionali e nelle controversie internazionali? La risposta a questa provocazione non rimarrà disattesa ma crediamo che non sarà neppure immediata. Il lavoro per la costruzione di un sistema di difesa nonviolento potrà avvenire nel lungo periodo, forti però di tante esperienze storiche come la liberazione dell'India o la sconfitta dell'apartheid, e di fatti di recente attuazione come la caduta del muro di Berlino e il crollo di numerosi regimi totalitari nell'Est europeo. La trasformazione nonviolenta dei conflitti rende possibile il passaggio da situazioni di chiusura a occasioni di dialogo, da un clima di sfiducia a momenti di cooperazione, percorrendo la lunga strada in salita della costruzione della pace. Il servizio civile all'estero dei Caschi Bianchi è una delle molteplici realtà presenti ed è uno degli strumenti attuali, che si colloca dal basso per la realizzazione di un corpo civile di pace all'interno di un sistema di difesa nonviolento.

Oggi, da parte di tanti giovani, l'interesse alla partecipazione al progetto caschi bianchi è in continua crescita, e il movimento nonviolento deve fare i conti con questo dato. Il servizio civile all'estero, in zone di conflitto o di povertà strutturale, offre ai ragazzi un'opportunità concreta di vivere la nonviolenza in modo attivo, partecipativo e politico. I lavori del comitato partono proprio dalle esperienze dei caschi bianchi che danno stimoli, speranza e ricchezza a chi si occupa di nonviolenza sia a livello di elaborazione che di attuazione di modalità pratiche.