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di Andrea Cuminatto

L’uomo non è il suo errore”: questa frase di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, campeggia nella sala da pranzo della Capanna di Betlemme di Funo (BO), dove ogni sera cenano insieme fra 20 e 30 persone senza fissa dimora. Ed è proprio con lo spirito di guardare all’uomo – e non agli errori che può aver commesso nel corso della sua vita – che operatori e volontari della casa di accoglienza si impegnano giorno dopo giorno per dare un pasto, un letto, ma soprattutto l’ascolto a chi ne ha bisogno.
Alla Capanna si mangia, si dorme, ci si fa una doccia. Alla Capanna si parla e si guarda la TV insieme, si canta e si raccontano barzellette. Alla Capanna non si trova una casa, si trova una famiglia. Una famiglia fatta da chi ci vive quotidianamente. Non importa che tu sia Italiano, Russo o Bengalese, che tu ci passi una sola notte o che ci torni ogni sera per due settimane, sarai accolto sempre allo stesso modo: con le braccia aperte. Chi vive nella casa ne ha compresa l’importanza.
Fra le circa 10 persone residenti nella struttura bolognese c’è chi viene da un passato di alcol 
 
e droga, chi ha rubato e rapinato, chi si è trovato agli arresti domiciliari. Persone diverse, con storie talvolta pesanti alle spalle, ma con qualcosa in comune: ognuno di loro ha trovato chi gli ha dato occasione di riscattarsi e di dimostrare a se stesso e agli altri che cambiare vita è possibile. E’ possibile in una quotidianità scandita dal lavoro, dal servizio e dalla preghiera.
Alle 8 del mattino i senzatetto sono tornati in città e la casa viene messa a nuovo, strigliata come un cavallo da corsa, per essere pronta alle 6 del pomeriggio ad una nuova gara nell’aiuto del prossimo. Ci si dà una mano alla Capanna, proprio come in famiglia. Mentre qualcuno pulisce i bagni, c’è chi spazza le stanze e chi sistema la sala da pranzo, e in cucina qualcosa è già sul fuoco per offrire un pasto caldo agli ospiti di stasera.
Quando non ci si dedica all’accoglienza dei clochard, nelle ore centrali della giornata, ognuno ha qualcosa da fare. Chi non è impegnato in progetti di reinserimento nel mondo del lavoro non sta con le mani in mano: c’è una persiana da pitturare, un mobile da aggiustare, il prato da tagliare. Ognuno fa quel che può e quel che sa fare, ciascuno ha una dote e alla Capanna di Betlemme la riscopre.
 

 

E se in una giornata d’inverno passi di lì, non stupirti se troverai uno stereo acceso a dare il giusto tono alla preparazione dei panini da portare in stazione. Non meravigliarti se ci sarà sempre qualcuno che si offrirà di sparecchiare e lavare i piatti al posto tuo. Non sgranare gli occhi di fronte ai disegni di Cip&Ciop, Pluto o Topolino che troverai sul tavolo: non li ha fatti Walt Disney, anche se non si nota la differenza. Alla Capanna di Betlemme ognuno è quel che è, e lo è con la consapevolezza che, qualsiasi cosa ci sia nel nostro passato, abbiamo sempre qualcosa di buono da donare agli altri.

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